Inutile tergiversare, la domanda viene spesso a galla. Vorrei raccontare della nostra esperienza con la Lean in tutte le sue derivazioni e sono consapevole di partire con un titolo – HR Director – che rischia di annacquare quanto vorrei proporre. Ma non demordo.
La nostra azienda ha un’esperienza pluriennale con l’approccio Lean, specie per quanto riguarda l’area Operations. Diversi progetti sviluppati negli anni hanno portato a dei miglioramenti operativi di rilievo, direi su tutti i principali indicatori aziendali. Ma non è di questo che vorrei parlare.
Uno dei compiti della funzione HR è quello di leggere, tradurre e agevolare l’efficacia della vision dell’azienda, del suo contesto sociale, e del modello organizzativo che sceglie.
Da questo punto di vista la Lean è rivoluzionaria non tanto (o almeno non solo) per quanto prevede il suo modello organizzativo, quanto piuttosto per l’impatto che ha sulle persone, sulle relazioni fra le stesse, sul sistema di controllo. Dal rispondere ad un capo al governare un processo. Se questo non è rivoluzionario …!!
Per troppo tempo però abbiamo visto le organizzazioni focalizzarsi solo sul metodo, sulle competenze tecniche ad esso sottese, sugli strumenti necessari alla sua implementazione. Prendiamo ad esempio lo Shopfloor Management (modalità di gestione della quotidianità aziendale), esso rappresenta una sintesi di quanto vada fatto all’interno di un gruppo di persone che lavorano assieme: c’è tutto quello che serve. La comunicazione regolare, il problem solving, il miglioramento continuo, il presidio e miglioramento dei processi, la crescita delle persone. Non manca nulla. Uno spartito perfetto, un esempio di cambiamento applicabile in qualsiasi realtà. Eppure, qualcosa manca!
La sua sostenibilità, la capacità di renderlo stabile e naturale, non può essere delegata ad un metodo, per quanto buono. Nella nostra esperienza, fatta principalmente di metodi, strumenti, modelli organizzativi, i risultati – seppur buoni, a volte ottimi – richiedevano ancora un supporto, una spinta, che ne alimentasse continuamente la miccia.
Era evidente che mancasse qualcosa: avevamo un ottimo spartito ma con interpretazioni piatte, monocordi, monotone.
Alcuni incontri regolari giornalieri gestiti come certe recite scolastiche, dove lo studente è più attento a non dimenticare nulla di quanto studiato che a dare personalità alla parte che interpreta. Noi avevamo bisogno di interpretazioni credibili, casomai non perfette, ma credibili!
Questa riflessione ci ha fatto rimettere l’uomo al centro del progetto. Non sono i metodi, i processi, gli strumenti a guidare il cambiamento. Sono le persone, ed hanno bisogno di un obiettivo, diverso da quelli operativi, ma coerente con gli stessi per poter continuamente alimentare la filosofia Lean.
Abbiamo quindi capito che avevamo bisogno di identificare chiaramente due punti. Uno di arrivo, la cultura Lean: un nuovo abbinamento. Non più Lean Manufacturing o Lean Operations, ma Lean Culture!
Ed uno di partenza: i nostri valori, quello in cui realmente crediamo come azienda, che reputiamo imprescindibili, la nostra consapevolezza del sé.
La più grossa difficoltà l’abbiamo avuta con la declinazione concreta del termine “cultura”. Cosa intendevamo, cosa volevamo, come l’avremmo tradotta non era chiaro a nessuno di noi.
Il modo migliore per rendere concreto il concetto è stato attraverso il lavoro sui comportamenti. Abbiamo affrontato assieme questo tema che racchiude soft skills, managerialità, leadership declinandoli in una forma concreta: cosa vorremmo accadesse quotidianamente in azienda?
Quali comportamenti vorremmo per alimentare in modo definitivo e continuo la filosofia Lean? Cosa ci serve che accada naturalmente, senza spinte, affinché la Lean viaggi da sola, e sia quindi veramente cultura?
La lista dei comportamenti ci ha galvanizzato: un concetto vago era stato “scaricato a terra” e potevamo quindi iniziare a lavorarci, a confrontarci, a misurarci, a sfidarci. Sui comportamenti.
Una volta definiti i due punti, di partenza e di arrivo, ci mancava la retta che li unisse. Come passare dai valori alla cultura? Era chiaro che necessitavamo di un allenamento continuo, trovare dei campi da gioco – come lo Shopfloor Management – sui quali esercitarci continuamente a praticare quei comportamenti, darne evidenza, fornire feedback, sperimentare, contaminare attraverso l’esempio.
Come nello sport, i primi esercizi li fai in modo goffo, ripassando mentalmente le indicazioni tecniche; poi, col passare del tempo, certi movimenti iniziano ad essere più naturali, altri li apprendi guardando il tuo compagno di squadra, certi skill iniziano a venir fuori senza che neanche ci si pensi. La naturalezza è indicatrice di creazione di cultura, ma ci si arriva solo allenandosi.
Qualche considerazione abbiamo iniziato a farla: di sicuro è utile darci continuamente riscontro, così come è necessario che gli allenamenti più pesanti e più frequenti li facciano coloro che hanno i ruoli più importanti in azienda. Il loro esempio accelera la contaminazione.
Professionalmente ed umanamente è appagante vedere come, una volta sposati i valori dell’azienda, un esercizio di pratica continua dei comportamenti prescelti ci porti ad una continua valutazione di noi stessi, alla consapevolezza delle nostre carenze e delle nostre conquiste, alla pienezza del nostro vivere sociale in azienda. Siamo, io per primo, ancora nella fase di allenamento, qualche goffaggine l’abbiamo ancora, qualche esercizio non l’abbiamo ancora capito bene, di sicuro ci vorrà molto tempo. Ma insistiamo, oramai convinti che l’unico modo per rendere sostenibile l’approccio Lean sia attraverso un nuovo modello di leadership.