“Sopravvivere ai cambiamenti non sarà un gioco”. Ed invece sì

Mi è capitato di leggere un libro, qualche tempo fa, intitolato “Game” di A. Baricco.

Un breve saggio sulla digitalizzazione che prova a dimostrare come i tools creati dall’uomo negli ultimi 30 anni, che sintetizzano e smaterializzano la realtà, siano un risultato del cambiamento interno degli uomini avvenuto al terminare del “vecchio” secolo (l’opposto di come si è spesso abituati a sostenere ovvero che i tools digitali, nel loro utilizzo, abbiano modificato l’essere umano).

Le aziende possono sperare di sopravvivere se avranno o sapranno avere un tessuto umano capace di aiutare a supportare la competitività e di adattarsi velocemente ai cambiamenti in corso.


Cito quindi interamente un tratto del saggio dove si descrivono le caratteristiche che, secondo Baricco, dovrebbero essere alla base di una “specie” (prodotti, aziende, processi) destinata a sopravvivere:

“- un design piacevole capace di generare soddisfazioni sensoriali

– una struttura riconducibile allo schema elementare problema/soluzione ripetuto più volte
– tempi brevi tra qualsiasi problema e la sua soluzione
– aumento progressivo delle difficoltà di gioco
– inesistenza e inutilità dell’immobilità
– apprendimento dato dal gioco e non dallo studio di astratte istruzioni per l’uso
– fruibilità immediata, senza preamboli
– rassicurante esibizione di un punteggio ogni tot passaggi

Bon , non mi viene in mente altro; ma ho un’altra notizia importante per voi; a parte rare eccezioni, se state facendo qualcosa che non ha almeno metà di queste caratteristiche state facendo qualcosa che è già morto da tempo “

Baricco parte come esempio da un videogame ed evidenzia come molti tratti della nostra vita abbiano ormai uno schema molto simile ad un gioco.

Partendo dalla tesi dell’autore, questo schema caratterizza la nostra vita e si è integrato in modo non più separabile dalla nostra quotidianità: basta rileggere i tratti citati per poterli associare alle app per trovare lavoro, per prenotare le vacanze, per fare transazioni economiche, per trovare l’anima gemella.

La necessità di far sì che il cambiamento ed il miglioramento diventino la “cultura” delle persone che lavorano nei processi di creazione del valore (modellando quindi il modo stesso di approcciarsi ai problemi delle persone) è ostacolata o facilitata dalle generazioni “digitali”?


Spesso si utilizzano, per spiegare i principi del miglioramento continuo, dei giochi di simulazione per dimostrare i reali benefici di concetti come One piece flow, Cellular Manufacturing, Takt time…ma se invece si impostasse la totale gestione del quotidiano come fosse un videogioco dai tratti sopracitati?  

Senza tracciare in modo troppo fermo il confine tra simulazione e realtà si potrebbe usare una leva già intrinseca in molte persone per far sì che dalla simulazione si passi direttamente alla pratica.

“Puoi provare a cambiare la testa della gente, ma stai solo perdendo tempo. Cambia gli strumenti che hanno in mano, e cambierai il mondo” Stewart Brand

Quindi, perché il miglioramento continuo in azienda, dove la maggior parte delle persone a breve sarà composta da persone nate e cresciute in un’epoca detta “digitale”, non guarda ai proprio strumenti (senza modificare i principi) per renderli più simili possibile a quella che è l’approccio di un “game”?

Provo quindi a trovare degli esempi e dei link con quanto detto finora per vedere quanto il miglioramento continuo sia “naturalmente” destinato alla generazione digitale:


Guardando ai tratti caratteristici della “specie che potrà sopravvivere” definiti da Baricco è facile associare alcuni metodi e concetti già conosciuti:

  • un design piacevole capace di generare soddisfazioni sensoriali: Poka yoke, Visual Management
  • una struttura riconducibile allo schema problema/soluzione ripetuto più volte: PDCA, Kaizen, CIP
  • tempi brevi tra qualsiasi problema e la sua soluzione: Kaizen preferito al Kaikaku
  • aumento progressivo delle difficoltà di gioco :Empowerment, Miglioramento continuo
  • inesistenza e inutilità dell’immobilità: Tensione positiva continua fuori dalla Comfort Zone, le Attese ed il WIP viste come Muda
  • apprendimento dato dal gioco e non dallo studio di astratte istruzioni per l’uso: TWI, Gemba
  • fruibilità immediata, senza preamboli: Trasparenza dei processi
  • rassicurante esibizione di un punteggio ogni tot passaggi: Visual Management

Alcuni esempi:

Poka yoke e Visual Management: fanno molto leva sul nostro essere “naturalmente” condizionati dai colori, dalle forme, dai target crescenti e dal “rendere semplice una cosa complessa”.

PDCA: tante sfide quotidiane per raggiungere punteggi più alti inventandosi ogni giorno nuove soluzioni e condividendo con gli amici i trucchi (best practice) per superare i livelli (standard).
Le comunanze tra il “vecchio” Lean Management e la trasformazione digitale di questi ultimi anni mi fanno quindi chiedere: come stanno comunicando la Lean Trasformation, i metodi per attuarla e le sfide che aspettano le aziende ad una persona cresciuta nella rivoluzione digitale?

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Kaizen e Kaikaku, diversi modi di “coltivare” il cambiamento

Mi capita spesso di andare nel “gemba” per vedere con i miei occhi i processi per scoprire se ci sono sprechi (muda) da eliminare.

Nel momento in cui mi accorgo di uno o più muda mi vengono in mente naturalmente più soluzioni possibili diverse tra loro: alcune piccole e immediate, altre più complesse e che richiedono un cambiamento più incisivo. La differenza tra le due tipologie di soluzioni sta nell’impatto, nel costo e nella delega necessaria, ma anche nel nome: Kaizen o Kaikaku?

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